cmq ieri e oggi mi sono dedicata alla lettura di un libro: 'Ci vediamo al bar Biturico'. Ormai, letti la maggior parte dei classici che volevo leggere (non tutti però), mi sto dando allo sperimentalismo che, come dice il 'caro' Bosisio, non è quasi mai una buona cosa. Esempio lampante questo libro, scritto da tale Paolo Doni, che in realtà è uno pseudonimo di un 'noto giornalista e scrittore italiano' che giustamente deve aver pensato che sarebbe stato meglio non prendersi il merito (?) di quest'"opera". Però, ci sono dei però. Superficialmente cos'è 'Ci vediamo al bar Biturico?'. un diario dei pensieri di una tredicenne ninfomane (o che vorrebbe esserlo) e di un 62enne un po' porco e pedofilo. Strutturalmente confusionario, la trama è parca e neanche troppo bene analizzata, sintatticamente siamo ai limiti dell'agrammaticità (a volte sfociandoci in pieno) e il messaggio pare inesistente. ma l'agrammaticità e la struttura confusa sono la rappresentazione del flusso di coscienza. quando si finisce questo libro si pensa 'vabbè dai vado avanti a scorrere parole con gli occhi sul giornale della metro'. però, c'è sempre un però. perché la Mondadori dovrebbe pubblicare un libro del genere, che io stessa avrei scritto meglio? Forse perché la tredicenne rappresenta il disagio, ma non per forza negativo, della prima adolescenza e la sua 'ninfomania' altro non è che l'ormai dilagante desiderio di una sessualità compelta già a quell'età, il suo odio per i genitori è lo scarto delle regole: insomma il ritratto della prima adolescenza che per chi non lo è mai stato o per chi non se lo ricorda più sembra assurdo. e invece no cari signori. quella è proprio l'adolescenza, parolaccia più, parolaccia meno. E Bruno? Un professore 'famoso' sessantaduenne che si avvilisce pensando al tempo che è passato, al fatto che le donne non lo cercano più e la sua 'pedofilia' nel cercare Giada (la tredicenne) altro non è che il desiderio di rinascere, di sentirsi vivo e non di 'violentarla', né di avere rapporti con lei (non solo questo perlomeno). Insomma il ritratto della prima senilità: quella in cui non si è ancora abituati all'essere vecchi e si cerca ancora in tutti i modi di restare aggrappati alla propria anima giovane. Il tutto farcito con riflessioni sul mondo, su alcune abitudini culturali, come quella di dare nomi ai bambini di oggi tipo Domitilla, o la stessa Giada che sarebbe una pietra o Christian con l'acca come se cambiasse qualcosa. Tutto questo per dire cosa? Non lo so. Forse per dire che le apparenze ingannano? Uhm sì può essere una morale valida per questa storia (la mia che leggo il libro, non quella del libro) ma si può andare anche oltre o non andare affatto. I libri distraggono, forse devo smetterla di cercarci dentro vie esistenziali a chissà quale verità. Sì, forse dovrei.
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Ciao ciao,
Lorenzo