Quella che non sono
20 febbraio 2009
Pavia è ossigeno. Le due sere a settimana che passo in palestra a rincorrere un pallone e a ridere con le mie compagne stanno diventando vitali. E non certo per i rapporti umani, anzi per la loro totale assenza. Sì, perché quando preparo la borsa per gli allenamenti e metto dentro il necessario per vestirmi, contemporaneamente smetto gli abiti di tutti i giorni. E la metafora è infinita. Svesto i panni della me più profonda e, non solo, svesto anche quelli della Sisa di tutti i giorni. Lascio a casa, ben coperti sotto il cuscino, le mie angosce sul mondo, le mie paure pressanti sulla carriera universitaria, l'insicurezza profonda su me stessa che mi appartiene da sempre. Ma faccio molto di più. Lascio a casa anche la facciata, la Sisa "di tutt i giorni", quella che sorride sempre e si mostra senza preoccupazioni. Non è poi così strano, credo, tenere per sé gli aspetti più intimi della propria persona. Come diceva Kundera, la propria intimità è tutto e chi se ne sbarazza è un mostro. Le persone che si mostrano cristalline agli altri non devono avere molto da offrire al mondo. Ma Pavia è qualcosa di più. Non so quando e non so chi mi ha dato questo ruolo, ma me lo tengo ben stretto. A Pavia smetto di essere il coniglio e divento il leone. Divento una persona sicura di me, divento la protagonista e non più la comparsa. Divento propositiva, attiva, allegra e mai titubante, passiva e triste. Mai. E non certo perché lo diventi veramente, ma solo perché è il mio ruolo. "Mi disegnano così", diceva Jessica Rabbit. Così mi disegnano le mie compagne e io sono ben lieta di interpretare, per una volta, la parte carismatica. E mi diverto. Perché mi libero dei miei pesi, delle mie pesanti zavorre e volo per qualche ora in cieli inesplorati. In cieli in cui ho sempre sognato di volare e che mai raggiungerò. Per 6 ore la settimana sono una ragazza decisa e sicura, convinta del suo futuro e totalmente consapevole delle proprie capacità. In grado di prendere in mano le situazioni e gestirle senza problemi, sfacciatamente quasi, senza guardare in faccia nessuno. Forse il basket e la poca sicurezza che da esso mi deriva un po' aiutano..sicuramente è per questo che le mie compagne mi han dato questo ruolo. Si ride e si scherza e alla fine è giusto così. Ognuna ha la sua parte e nella natura delle cose ormai io sono questo. Ed è vero, ci sono stati dei momenti in cui questo mi ha dato fastidio perché non riuscivo a dimostrare quanto invece io sia diversa, quanto in profondità si spinga il mio essere. Ma stasera, dopo il racconto del mio ultimo esame, ho riflettuto che è meglio così. Se a raccontarlo divento la ragazza sicura di sé che prende gli esami come ordinaria amministrazione e si permette di rifiutare un 29, tanto meglio. Tanto meglio se non viene fuori che tremo prima di sedermi su quella maledetta sedia e che penso di essere la persona, non solo più impreparata del mondo, ma anche più insicura, che basta un niente per farmi crollare. In un esame e anche nella vita. Se divento la Sisa che aspetta di laurearsi con 110 e lode per proseguire la sua carriera a Pisa con eccellent risultati, ovviamente scontati, tanto meglio. Tanto meglio se per qualche sera a settimana lascio cadere l'angoscia che la lode non arrivi (e magari nemmeno il 110),  il terrore che Pisa mi provoca. Se dimentico i dubbi che mi attanagliano "Sarò all'altezza?" o ancora di più quella vocina che dentro di me già risponde a queste domande, da sempre, e mi dice insistentemente che non sono all'altezza, che volo troppo in alto perché sono attratta dal sole, ma che ho solo ali di cera e si scioglieranno e cadrò prima o poi. E se continuo a volare così alto, a voler tentare di raggiungere il sole, cadrò sicuramente e terribilmente e farò un tonfo incredibile, stroncante. Se dimentico quella vocina che non fa che dirmi di arrendermi, in tutto, che non raggiungerò mai alcun risultato importante. Quella vocina che non mi ha mai dato tregua. Tanto meglio, se per qualche sera divento quasi una stupida pallavolista e mi illudo di essere quella che non sono, quella che non sarò mai.

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12 febbraio 2009

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione, e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità, di verità…
Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti..

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SOS cercasi
05 febbraio 2009

E' un po' che vorrei scrivere. Ho pensieri confusi che vagano per la mente da un po'. Ogni volta che se ne aggiunge uno nuovo, ma simile, mi dico "Devo metterli giù", ma poi arrivano altre considerazioni "Non saprei come, non so cosa, a chi vuoi che interessi". A me sì però. Ancora non sono sicura di avere chiarezza sufficiente per scrivere, ma se non ci provo la matassa non si sbroglierà mai. E quale notte migliore se non quella prima di un esame per liberare la mente?

Sono indignata. Allibita, come recita il mio nick su msn. Non che sia una novità, intendiamoci. Il mio cinismo non ha mai conosciuto pause dal almeno 10 anni..considerando che ne ho 23!! Ultimamente su quella piaga che è facebook ho scritto "Sisa dà ragione a Schopenhauer: l'ignoranza è un gran bene". Frase provocatoria, che è stata subito fraintesa o quantomeno attaccata dai seguaci di Guccini "da sempre l'ignoranza fa paura e il silenzio è uguale a morte". Cosa credete? Che io non ascolti Guccini? Era solo uno sfogo..quando la delusione e l'amarezza diventano troppo forti ti lasci cadere nella desolazione e nella frustrazione di dire "Cosa posso fare?". La risposta "Niente" ti uccide, ma sai che forse è l'unica verosimile e allora arrivi, stremata nello sforzo cerebrale, a dire "Vorrei non sapere, vorrei non avere il cervello per capire". Da qui il passo non deve essere e non sarà mai breve. Non desidererò mai di essere una velina, né di assomigliare a qualcuno visto di recente ai telegiornali. Mai. Ma mi rendo conto che loro non hanno la percezione di quel che sono e che non sapere tutto questo li porta a non avere pensieri, ad avere meno preoccupazioni. Questo cozza terribilmente con la mia teoria della pesantezza, ma alla fine se non fossi così non lo percepirei e il discorso tornerebbe al punto di partenza. Insomma, questo per spiegare il perché di quella frase.

Ora passerei alla seconda frase fraintesa su facebook. "Sisa spera che al mondo ci siano altre persone come lei". Battute sui calzini a parte, anche l'ultimo commento un po' scontato inerente a una falsa modestia è da cestinare con forza. Fermo restando la bassa considerazione che ho di me e la pochissima stima, il pensiero devo dire può parere un po' superbo. Ma, scusatemi, non riesco a non essere fiera di me per almeno cinque minuti dopo aver visto il telegiornale negli ultimi giorni e aver sentito ragazzi della mia età o poco meno dire frasi come "Non era un ragazzo, era un marocchino". Io sono molto aperta di mentalità e so cogliere, penso sia un mio pregio, la varietà del mondo e delle persone apprezzandone i pregi e i difetti. Ma queste persone, questi ragionamenti figli di mentalità chiuse, leggere e assolutamente sbagliate non posso accettarle. Non posso ritenere possibile che una mente elabori un concetto del genere. E più sconcertante ancora del razzismo (che per me è inspiegabile, ma devo prenderne atto) è il laconico "boh" in risposta alla domanda "Cosa pensi dei fatti di Nettuno?". Sono allibita se penso che questo ragazzo, lo ammetto e sono cattiva, avrà dei figli che cresceranno nella stessa ignoranza intellettuale. Perché qui c'è poco da essere elitisti o superbi, questa è ignoranza. E' essere cresciuti in un contesto culturale che non ti ha fatto sviluppare la benché minima idea di civiltà, di ragionevolezza e di pensiero critico. E potrei andare avanti molto e molto ancora.

Il discorso sul sapere troppo purtroppo mi deriva dallo studio. Sono e sempre rimarrò convinta che lo studio sia una cosa fondamentale delle nostre vite, non certo per la carriera o per la posizione lavorativa cui ti permette l'accesso (ma quando mai!!) ma solo ed esclusivamente per l'apertura mentale che ti concede, lui e solo lui, di raggiungere abituandoti ad usare il cervello per riflettere, analizzare, rielaborare concetti astratti. Ma questo studio, che io tanto amo, mi porta a realizzare delle cose che mi sconcertano ogni giorno di più. Quando, portata a ragionare su certi argomenti di sociologia, ti accorgi di alcuni meccanismi che sono limpidi di fronte a te, ma che non sai cogliere fintanto che non ti poni ad una distanza tale da permetterti un atteggiamento critico, puoi solo inorridire e disperarti. E per questo ti viene voglia di non sapere, perché ti rattrista troppo la realtà, ma ti rendi altresì conto che sapere è l'unica cosa che ti permette di estraniarti, per quanto possibile, da questi meccanismi, di uscire a galla e respirare un po', di non mischiarti (e sarò stronza) a tutti gli altri.

E allora il pensiero è per forza quello. Vorrei sapere che al mondo ci sono tante persone che ragionano come me. Perché so che esistono, vorrei solo sperare che siano più di quante credo. Vorrei sapere che esistono persone vere, profonde che sanno apprezzare le cose davvero importanti della vita. Vorrei conoscere più persone che si preoccupano davvero di quello che succede nel mondo, che siano in grado di capire e di vedere non tanto l'omicidio di turno in sé ma soprattutto quel che c'è dietro, quel che l'ha causato e andare più in là cercando di analizzare quella che è la situazione sociale attuale. Vorrei persone che siano in grado di alzarsi ad un punto tale e con una reale obiettività da riuscire a comprendere quel che ci circonda, perché a volte basta solo cambiare prospettiva. Vorrei persone che non accettino acriticamente tutto quel che viene loro detto, ma sappiano discernere, sappiano esercitare una propria capacità di giudizio e non abbiano paura a farlo e a condividere con altri i punti che hanno raggiunto. Vorrei persone che amino riflettere, che sappiano soffocare il chiasso della città o del mondo esterno per prendersi un attimo di pausa e ragionare in una prospettiva più grande di noi. Vorrei persone che si rendano conto del posto che occupano nel mondo e che capiscano che non è il lavoro che hanno scelto che determina questa posizione. Vorrei persone che sappiano vedere più in là del proprio naso.

Vorrei saperlo perché ne vedo troppe che così non sono e, certo, il mondo è bello perché è vario ma se il vario alla lunga diventa marcio allora non posso che preoccuparmi di quello che sarà il futuro del mondo. Perché oggi come oggi non prevede niente di buono.

Forse esagero, sono sicuramente troppo cinica e nascondo una rabbia interiore certamente non indifferente. Solo che non posso trattenere questi pensieri e spero che le risposte che potrei scatenare (anche non riportate nello spazio qui sotto) non siano riflessioni come "Che cinismo! In fondo ci sono anche cose belle al mondo" o come "Non è giusto giudicare così gli altri, in fondo ognuno è speciale a suo modo". Perché se queste sono le reazioni, allora ho centrato in pieno la questione. E, suonerà strano, ne sarei molto rammaricata.

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