nessuna meta
17 gennaio 2010

è così strano essere umani. ti convinci che tutto quello che vuoi è un po’ di felicità. pensi sia lo scopo della tua vita, tutti lo pensano. tutti lo vogliono, chi lo nega è falso o si è solo arreso. e ti arrabbi, sbatti porte, tiri calci, bestemmi verso il cielo perché non ci riesci e chiedi senza sosta “perché a me, perché non posso essere felice, che cosa ho fatto di male”. ovviamente non puoi brancolare nel buio, ti devi dare degli obiettivi, devi dare un nome al quel vuoto che senti perché pensi che se ha un nome è più facile trovarlo. e allora cerchi cerchi cerchi e accumuli. accumuli qualsiasi tipo di cosa, materiale e non, che pensi riempirà quel vuoto. noi non facciamo altro che accumulare cose nella vita. oggetti, pensieri, esperienze, persone. ed ogni nuova tacca nell’elenco della nostra vita ci dà la convinzione di aver fatto un passo in più verso quel qualcosa, che tutto quel posto che queste cose occupano toglie spazio al vuoto. senza spazio il vuoto non può allargarsi giusto? ma possedere non è la risposta. ben presto noi stessi siamo posseduti da ciò che crediamo di possedere, dalle nostre collezioni. senza renderci conto di quanto siano macabre. e un bel giorno, mentre sistemi libri, riflessioni, film e persone in ordine alfabetico, in ordine cronologico o nell’ordine in cui vorresti che stessero perché è l’ordine giusto per te, mentre fai questo senti che invece il vuoto è sempre lì. perché il vuoto divora, non si espande. il vuoto passa sopra le cose accumulate. e allora sprofondi in domande più grandi di te. tutti i vecchi perché si ripresentano e ti chiedi perché, dannazione, perché non basta niente. ma la realtà è che non è affatto difficile arrivare alle risposte di queste domande. il difficile sta nel rispondersi ad alta voce, sta nell’ammettere a se stessi la verità. e la verità è che abbiamo bisogno di tutto questo. che quando ascolti una canzone triste senti pulsare qualcosa dentro, anche se non hai motivi per essere triste. quello che pulsa è la tua natura. è l’essere umani. e essere umani significa che tutto quello che pensi non ha senso. che tutto quello che ti dicono, quello che leggi, quello che senti sono solo parole. essere umani significa che niente è in grado di dirti chi sei e cosa provi realmente. significa essere in balìa della propria natura come non potrai mai ammettere di essere. ma il trucco è che solo quando invece lo ammetterai sarai davvero libero. libero di essere un essere umano. perché anziché avere paura di questa natura, anziché cercare di scappare e di accampare scuse, ne avrai coscienza. coscienza del fatto che traballare è il nostro destino. che un sorriso dura un attimo e poi svanisce. che una lacrima bagna più in profondità di quanto un fazzoletto o una carezza possano asciugare, ma che comunque alla fine poi si asciuga lo stesso. che qualsiasi cosa accada, bella o brutta, finisce. sempre. e non si può far niente perché questo non accada. che illusioni e speranze vivono su un confine così sottile che è impossibile non confonderle. che i sogni servono per mandare avanti la baracca, ma che quando uno per caso si avvera è solo un attimo di gioia prima di rendersi conto che ce n’è già un altro alle porte. e prima di rendersi conto che è proprio questo in realtà che ci manda avanti la baracca. non raggiungerli, non sorridere, non piangere ma tutto quello che sta in mezzo tra queste cose. “c’è una meta ma nessuna via” diceva Kafka. forse invece è il contrario: c’è una via e nessuna meta.

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Temo di chiedere troppo.
29 settembre 2009
Qual è il valore che diamo alle cose? Come facciamo a capire se siamo affezionati o abituati a qualcosa? Se sappiamo a memoria le battute di un film, lo adoriamo o semplicemente lo abbiamo visto troppe volte? Ieri mi sono trovata a fare determinate cose che ho fatto per una vita intera. Semplice routine, come fare colazione la mattina. Cose che semplicemente hai fatto miliardi di volte nella tua vita e che quindi ti riescono naturalmente, senza doverci pensare. E mi sono chiesta come mai, sebbene fosse un po' di tempo che non facevo queste cose, come mai mi riuscissero ancora così meccanicamente bene. E' affezione? O forse solo abitudine non ancora rimossa? So solo che queste abitudini sono difficili da togliersi di dosso: ieri ho fatto la "solita" strada dalla fermata della metro Duomo alla mia università e l'ho fatta tutta, come spesso ho fatto, ad occhi bassi. E qualche volta, quando me ne sono resa conto, mi sono sempre detta che "in fondo questa strada la faccio tutti i santi giorni, c'è poco da vedere ormai". Ebbene, ormai non la faccio più tutti i giorni, anzi, eppure ieri quando l'ho fatta di nuovo dopo mesi e mesi l'ho fatta nello stesso identico modo. Eppure ora ci sono delle nuove sgargianti gialle biciclette dietro il Duomo, il palazzo che fa angolo con piazza Beccaria è finalmente finito e queste cose non potrei mai notarle se non alzo lo sguardo con la curiosità di chi fa questa strada per la prima volta. Ma la nostra mente, e questo è il punto, è irrimediabilmente corrotta dalle abitudini: so perfettamente che sono mesi che non studio questa zona (e per me che sono una grande osservatrice non guardarmi intorno è proprio insolito), ma l'abitudine mi induce a non farlo, ad avere la testa bassa tipica del pendolare (o meglio, del city-user) che fa e rifa questa strada centinaia di volte l'anno. E' forse questo allora che accade anche nella vita di tutti i giorni? Capita che facciamo cose che sappiamo essere sbagliate, eppure siamo abituati a farle e non riusciamo, non ci pensiamo, non vogliamo forse smettere di farle. E' tutto davvero qui? Troppo facile forse, troppo facile dare la colpa all'abitudine. Alla fine siamo essere pensanti, pure troppo, e non è possibile relegare la ragione in una posizione così lontana, così poco importante rispetto al resto. Però siamo anche animali, fatti di istinto, e forse questo istinto ha un ruolo più importante di quanto gli evoluzionisti vogliano farci credere. Forse siamo davvero più bestie che uomo, se nemmeno riusciamo a privarci o a controllare certi nostri istinti (di qualunque genere essi siano). Forse semplicemente non vogliamo controllarli, e allora torniamo ad essere più uomini che bestie perché prendiamo posizione. Anche se una posizione sbagliata. Insomma, deve esistere un equilibrio tra ragione e istinto, tra abitudine e curiosità. Ma è questo che siamo in fondo: un continuo oscillare tra raziocinio e istintività, tra uomo e bestia: superare questo dilemma, vorrebbe forse dire superare la nostra innata natura.

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Leaving Milano
07 agosto 2009
Ultima pubblicazione in data 6 aprile 2009. E, aggiungo io, ho pubblicato "solo" il testo di una canzone. Come è diventata arida la Sisa!! Immagino quei pochissimi lettori che ho, magari tipo tonj, che entrano nel mio blog e si dicono "ma è rimasto tutto così??". Anzi, forse non entrano nemmeno più da chissà quanto. Ma è sempre così, io ho momenti di fervente creatività e momenti di buio totale. E, forse sembrerà strano, ma di solito sono creativa e produttiva quando sono triste, quando soffro molto e taccio invece quando sono felice. Infatti, nell'ultimo anno e mezzo ho scritto sempre meno......

Certo di questo non mi dispiaccio, ma mi manca un po' il mio blog, mi manca scrivere, mi manca qualche commento carino di tonj o di silbiuz. Mi manco un po' io. Quando sono felice e arida rimpiango sempre la Sisa triste e prolifica. Sempre.

E allora mi ritrovo, in una mattina qualunque, mentre dovrei scrivere la mia maledetta tesi, a rileggere un anno o più di blog, mentre la voglia di scrivere qualsiasi cosa aumenta sempre più. E leggere quei vecchi post fa anche lievitare un po' la malinconia dentro di me. Malinconia per il grosso cambiamento che la mia vita sta subendo. Malinconia pensando a dove scrivevo quei post, alle giornate che vivevo...e ora, per quanto non ne potessi più, ritrovo in me un po' di malinconia.

Ho sempre odiato Milano. Da quando ho l'età per ragionare, per valutare le cose, ho sempre odiato Milano. Tanto più perché avevo raffronti vivi in me di un paese come Berbenno. Ho sempre odiato soprattutto i milanesi, così viziati, così ottusi, così montati, così cattivi...davvero. Ho sempre odiato il traffico, le distanze, il metterci ore per fare qualsiasi cosa. Le cose sono un po' cambiate adesso, nell'ultimo anno..anzi negli ultimi due. Da settembre 07, quando ho cambiato vita. Rileggendo quei post mi è sembrato di sentire di nuovo dentro di me le sensazioni che sentivo allora. Allora che ero single per la prima volta dopo alcuni anni, che frequentavo nuove compagnie, che ero sempre sempre fuori, che ervamo noi 3 dell'Ave Maria. Lì ho cominciato ad apprezzare Milano, più che altro ho iniziato a viverla. E non è cambiata la mia opinione sulla città, è cambiato solo il fatto che finalmente avevo delle persone a cui tenere anche a Milano. E nell'ultimo anno tutto ciò non ha fatto che aumentare. Sì, lascio una vita che non ho mai apprezzato a pieno e mi porto dietro nella nuova città la persona più importante della mia vita, ma comunque un po' di tristezza rimane. Soprattutto per un'abitudinaria come me.

Mi mancheranno le serate varie, con amici di ogni tipo, in particolare voi due A. e Giò. Mi mancherete tantissimo. Mi mancheranno le serate post partite o post allenamenti di Marco..come farò a non vedere Erik almeno una volta a settimana?? :) Mi mancherà il gruppo Bicocca, i pomeriggi al Cus Point Bicocca e tutto il contorno ai campionati. Non dovrei dire che mi mancheranno le mie compagne di squadra dell'uni soprattutto perché loro le rivedrò ancora, perché giocherò ancora per la mia università..ma sarà tutto diverso, verrò da fuori, non ci sarà il pre partita in via degli Orombelli e il post agli allenamenti di Cologno. Come mi mancherà il mio Cus Point!! Mi mancherà il gruppo del basket, in generale, tutto quanto..chiunque vedessi dovunque..gente come la Ale, la Chiara e tanti altri ragazzi. Gente che comunque non vedevo spesso e che forse ora vedrò con la stessa regolarità. Ma è ben diverso sapere di poterli vedere tutti i giorni e sapere di non poterli più vedere quando si vuole. In quest'ottica ti vengono a mancare anche le cose che normalmente non ti mancherebbero. Mi mancheranno un po' le lezioni universitarie e il mio compagno di uni, Paolo. Eh sì. Mi mancheranno soprattutto le giornate dell'ultimo anno e mezzo, i pomeriggi in via degli Orombelli, i gelati in via Rombon, i campetti ad Arcore, i viaggi Lambrate-Greco Pirelli, la metro Bisceglie-Lambrate, le pizze al Moby-Dick, i panini davanti alla stazione, la pizza del fornaio. Sono abitudini, per questo mi mancheranno, ma anche segni di una vita "universitaria" che è praticamente finita. è vero, mi laureo ad aprile. Fino a quel momento sarò universitaria ancora, ma stando a Cremona anziché a Milano sarà tutto diverso. è Milano la mia città universitaria, è lì che faccio la vita da universitaria. Per quanto la odi, la odiassi non possono rinnegare 5 anni vissuti facendo la spola Cesano Boscone-Via Festa del Perdono. Mi mancherà il mio bellissimo ateneo con i bagni maleodoranti e i muri da cui cade l'intonaco, mi mancherà Luini (quanto mi mancherà!!), mi mancherà il panino Toma (bresaola, mozzarella, rucola, olio e limone) da Arcibaldo mangiato seduta fuori con Paolo, al Cus Point guardando il pc o di fretta andando a prendere la metro, mi mancheranno le fotocopie selvagge in biblioteca con quelle stupide carampane che fanno più danni di quanti dovrebbero risolverne.

Inutile proseguire la lista. Anche perché ci sono tanti pro. E tanti pro sono qui a Cremona. Ma io sono fatta così: pur essendo sicura al 100% della mia scelta, sono comunque nostalgica di quel che lascio. Nostalgica di quella specie di vita che in questi due anni mi ero costruita, finalmente! Forse Milano senza di me sarà sempre la solita cosa, forse non mancherò a nessuno e a niente, continuerà a vivere come se niente fosse e tutte queste persone non si accorgeranno nemmeno della mia assenza. Però a me, un po', mancheranno.
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Recitativo
06 aprile 2009
Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.

Dell'inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.

Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.

Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.

Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?


Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.

Uomini, poiché all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano

finché non sia maturo per la falce

                                                                Fabrizio De André

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posted by Sisa at 23:54 | Permalink | 0 comments
Quella che non sono
20 febbraio 2009
Pavia è ossigeno. Le due sere a settimana che passo in palestra a rincorrere un pallone e a ridere con le mie compagne stanno diventando vitali. E non certo per i rapporti umani, anzi per la loro totale assenza. Sì, perché quando preparo la borsa per gli allenamenti e metto dentro il necessario per vestirmi, contemporaneamente smetto gli abiti di tutti i giorni. E la metafora è infinita. Svesto i panni della me più profonda e, non solo, svesto anche quelli della Sisa di tutti i giorni. Lascio a casa, ben coperti sotto il cuscino, le mie angosce sul mondo, le mie paure pressanti sulla carriera universitaria, l'insicurezza profonda su me stessa che mi appartiene da sempre. Ma faccio molto di più. Lascio a casa anche la facciata, la Sisa "di tutt i giorni", quella che sorride sempre e si mostra senza preoccupazioni. Non è poi così strano, credo, tenere per sé gli aspetti più intimi della propria persona. Come diceva Kundera, la propria intimità è tutto e chi se ne sbarazza è un mostro. Le persone che si mostrano cristalline agli altri non devono avere molto da offrire al mondo. Ma Pavia è qualcosa di più. Non so quando e non so chi mi ha dato questo ruolo, ma me lo tengo ben stretto. A Pavia smetto di essere il coniglio e divento il leone. Divento una persona sicura di me, divento la protagonista e non più la comparsa. Divento propositiva, attiva, allegra e mai titubante, passiva e triste. Mai. E non certo perché lo diventi veramente, ma solo perché è il mio ruolo. "Mi disegnano così", diceva Jessica Rabbit. Così mi disegnano le mie compagne e io sono ben lieta di interpretare, per una volta, la parte carismatica. E mi diverto. Perché mi libero dei miei pesi, delle mie pesanti zavorre e volo per qualche ora in cieli inesplorati. In cieli in cui ho sempre sognato di volare e che mai raggiungerò. Per 6 ore la settimana sono una ragazza decisa e sicura, convinta del suo futuro e totalmente consapevole delle proprie capacità. In grado di prendere in mano le situazioni e gestirle senza problemi, sfacciatamente quasi, senza guardare in faccia nessuno. Forse il basket e la poca sicurezza che da esso mi deriva un po' aiutano..sicuramente è per questo che le mie compagne mi han dato questo ruolo. Si ride e si scherza e alla fine è giusto così. Ognuna ha la sua parte e nella natura delle cose ormai io sono questo. Ed è vero, ci sono stati dei momenti in cui questo mi ha dato fastidio perché non riuscivo a dimostrare quanto invece io sia diversa, quanto in profondità si spinga il mio essere. Ma stasera, dopo il racconto del mio ultimo esame, ho riflettuto che è meglio così. Se a raccontarlo divento la ragazza sicura di sé che prende gli esami come ordinaria amministrazione e si permette di rifiutare un 29, tanto meglio. Tanto meglio se non viene fuori che tremo prima di sedermi su quella maledetta sedia e che penso di essere la persona, non solo più impreparata del mondo, ma anche più insicura, che basta un niente per farmi crollare. In un esame e anche nella vita. Se divento la Sisa che aspetta di laurearsi con 110 e lode per proseguire la sua carriera a Pisa con eccellent risultati, ovviamente scontati, tanto meglio. Tanto meglio se per qualche sera a settimana lascio cadere l'angoscia che la lode non arrivi (e magari nemmeno il 110),  il terrore che Pisa mi provoca. Se dimentico i dubbi che mi attanagliano "Sarò all'altezza?" o ancora di più quella vocina che dentro di me già risponde a queste domande, da sempre, e mi dice insistentemente che non sono all'altezza, che volo troppo in alto perché sono attratta dal sole, ma che ho solo ali di cera e si scioglieranno e cadrò prima o poi. E se continuo a volare così alto, a voler tentare di raggiungere il sole, cadrò sicuramente e terribilmente e farò un tonfo incredibile, stroncante. Se dimentico quella vocina che non fa che dirmi di arrendermi, in tutto, che non raggiungerò mai alcun risultato importante. Quella vocina che non mi ha mai dato tregua. Tanto meglio, se per qualche sera divento quasi una stupida pallavolista e mi illudo di essere quella che non sono, quella che non sarò mai.

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12 febbraio 2009

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione, e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità, di verità…
Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti..

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SOS cercasi
05 febbraio 2009

E' un po' che vorrei scrivere. Ho pensieri confusi che vagano per la mente da un po'. Ogni volta che se ne aggiunge uno nuovo, ma simile, mi dico "Devo metterli giù", ma poi arrivano altre considerazioni "Non saprei come, non so cosa, a chi vuoi che interessi". A me sì però. Ancora non sono sicura di avere chiarezza sufficiente per scrivere, ma se non ci provo la matassa non si sbroglierà mai. E quale notte migliore se non quella prima di un esame per liberare la mente?

Sono indignata. Allibita, come recita il mio nick su msn. Non che sia una novità, intendiamoci. Il mio cinismo non ha mai conosciuto pause dal almeno 10 anni..considerando che ne ho 23!! Ultimamente su quella piaga che è facebook ho scritto "Sisa dà ragione a Schopenhauer: l'ignoranza è un gran bene". Frase provocatoria, che è stata subito fraintesa o quantomeno attaccata dai seguaci di Guccini "da sempre l'ignoranza fa paura e il silenzio è uguale a morte". Cosa credete? Che io non ascolti Guccini? Era solo uno sfogo..quando la delusione e l'amarezza diventano troppo forti ti lasci cadere nella desolazione e nella frustrazione di dire "Cosa posso fare?". La risposta "Niente" ti uccide, ma sai che forse è l'unica verosimile e allora arrivi, stremata nello sforzo cerebrale, a dire "Vorrei non sapere, vorrei non avere il cervello per capire". Da qui il passo non deve essere e non sarà mai breve. Non desidererò mai di essere una velina, né di assomigliare a qualcuno visto di recente ai telegiornali. Mai. Ma mi rendo conto che loro non hanno la percezione di quel che sono e che non sapere tutto questo li porta a non avere pensieri, ad avere meno preoccupazioni. Questo cozza terribilmente con la mia teoria della pesantezza, ma alla fine se non fossi così non lo percepirei e il discorso tornerebbe al punto di partenza. Insomma, questo per spiegare il perché di quella frase.

Ora passerei alla seconda frase fraintesa su facebook. "Sisa spera che al mondo ci siano altre persone come lei". Battute sui calzini a parte, anche l'ultimo commento un po' scontato inerente a una falsa modestia è da cestinare con forza. Fermo restando la bassa considerazione che ho di me e la pochissima stima, il pensiero devo dire può parere un po' superbo. Ma, scusatemi, non riesco a non essere fiera di me per almeno cinque minuti dopo aver visto il telegiornale negli ultimi giorni e aver sentito ragazzi della mia età o poco meno dire frasi come "Non era un ragazzo, era un marocchino". Io sono molto aperta di mentalità e so cogliere, penso sia un mio pregio, la varietà del mondo e delle persone apprezzandone i pregi e i difetti. Ma queste persone, questi ragionamenti figli di mentalità chiuse, leggere e assolutamente sbagliate non posso accettarle. Non posso ritenere possibile che una mente elabori un concetto del genere. E più sconcertante ancora del razzismo (che per me è inspiegabile, ma devo prenderne atto) è il laconico "boh" in risposta alla domanda "Cosa pensi dei fatti di Nettuno?". Sono allibita se penso che questo ragazzo, lo ammetto e sono cattiva, avrà dei figli che cresceranno nella stessa ignoranza intellettuale. Perché qui c'è poco da essere elitisti o superbi, questa è ignoranza. E' essere cresciuti in un contesto culturale che non ti ha fatto sviluppare la benché minima idea di civiltà, di ragionevolezza e di pensiero critico. E potrei andare avanti molto e molto ancora.

Il discorso sul sapere troppo purtroppo mi deriva dallo studio. Sono e sempre rimarrò convinta che lo studio sia una cosa fondamentale delle nostre vite, non certo per la carriera o per la posizione lavorativa cui ti permette l'accesso (ma quando mai!!) ma solo ed esclusivamente per l'apertura mentale che ti concede, lui e solo lui, di raggiungere abituandoti ad usare il cervello per riflettere, analizzare, rielaborare concetti astratti. Ma questo studio, che io tanto amo, mi porta a realizzare delle cose che mi sconcertano ogni giorno di più. Quando, portata a ragionare su certi argomenti di sociologia, ti accorgi di alcuni meccanismi che sono limpidi di fronte a te, ma che non sai cogliere fintanto che non ti poni ad una distanza tale da permetterti un atteggiamento critico, puoi solo inorridire e disperarti. E per questo ti viene voglia di non sapere, perché ti rattrista troppo la realtà, ma ti rendi altresì conto che sapere è l'unica cosa che ti permette di estraniarti, per quanto possibile, da questi meccanismi, di uscire a galla e respirare un po', di non mischiarti (e sarò stronza) a tutti gli altri.

E allora il pensiero è per forza quello. Vorrei sapere che al mondo ci sono tante persone che ragionano come me. Perché so che esistono, vorrei solo sperare che siano più di quante credo. Vorrei sapere che esistono persone vere, profonde che sanno apprezzare le cose davvero importanti della vita. Vorrei conoscere più persone che si preoccupano davvero di quello che succede nel mondo, che siano in grado di capire e di vedere non tanto l'omicidio di turno in sé ma soprattutto quel che c'è dietro, quel che l'ha causato e andare più in là cercando di analizzare quella che è la situazione sociale attuale. Vorrei persone che siano in grado di alzarsi ad un punto tale e con una reale obiettività da riuscire a comprendere quel che ci circonda, perché a volte basta solo cambiare prospettiva. Vorrei persone che non accettino acriticamente tutto quel che viene loro detto, ma sappiano discernere, sappiano esercitare una propria capacità di giudizio e non abbiano paura a farlo e a condividere con altri i punti che hanno raggiunto. Vorrei persone che amino riflettere, che sappiano soffocare il chiasso della città o del mondo esterno per prendersi un attimo di pausa e ragionare in una prospettiva più grande di noi. Vorrei persone che si rendano conto del posto che occupano nel mondo e che capiscano che non è il lavoro che hanno scelto che determina questa posizione. Vorrei persone che sappiano vedere più in là del proprio naso.

Vorrei saperlo perché ne vedo troppe che così non sono e, certo, il mondo è bello perché è vario ma se il vario alla lunga diventa marcio allora non posso che preoccuparmi di quello che sarà il futuro del mondo. Perché oggi come oggi non prevede niente di buono.

Forse esagero, sono sicuramente troppo cinica e nascondo una rabbia interiore certamente non indifferente. Solo che non posso trattenere questi pensieri e spero che le risposte che potrei scatenare (anche non riportate nello spazio qui sotto) non siano riflessioni come "Che cinismo! In fondo ci sono anche cose belle al mondo" o come "Non è giusto giudicare così gli altri, in fondo ognuno è speciale a suo modo". Perché se queste sono le reazioni, allora ho centrato in pieno la questione. E, suonerà strano, ne sarei molto rammaricata.

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19 gennaio 2009

Sono 290 km, più di un anno e qualche 30 di mezzo. Qualche lode magari. Un obiettivo, un miraggio, un sogno. Il sogno di fare quello che più mi piace e come dice qualcuno "Ho l'estrema fortuna di amare ciò che faccio". Non posso farmi scappare questa opportunità. La rimpiangerei per tutta la vita. Devo almeno provarci. Non ho fatto il percorso migliore fino ad ora, è vero. Ma posso ancora farcela. Il sogno di cambiare tutto, partire da zero con solo te al mio fianco. Nuova città, nuove persone, nuovi orizzonti davanti. Un motivo in più per studiare la notte.
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Prossima meta
22 settembre 2008
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