Anima salva
19 giugno 2008
C’è un tempo in cui credi che ci siano risposte da dare. Credi di dover dare risposte a domande pesantissime che però non riesci a capire. Senti solo ronzare dentro di te dei punti interrogativi simili a vuoti e capisci che devi dare loro una risposta, devi trovare loro una collocazione o forse solo dare loro un motivo per acquietarsi, in modo che tu possa andare a letto la sera tranquilla, senza morse, senza vuoti, senza lacrime. C’è poi un tempo in cui capisci che non puoi rispondere a quelle domande finché non saprai cosa sono e credi di poterle ignorare, o almeno lo speri, te ne convinci. Perché non riesci a farne a meno ma non riesci nemmeno a risolverle, e allora soluzione non c’è. C’è poi un altro tempo in cui ti arrendi..solitamente non arriva dopo molto. Ti arrendi al tuo convincimento, ti arrendi perché vuoi disfarti di quei vuoti, di quelle morse. E cominci a dare nomi alle cose e soluzioni alle domande. Perché se un problema ha un nome ti sembra di poterlo affrontare più facilmente. Se sai cosa cercare ti sembra più facile trovarlo. Mera illusione. Soprattutto perché hai deciso tu di dare quei nomi, quegli obiettivi. Ma ne avevi bisogno, davvero bisogno. Il problema è però quando trovi quei nomi e quelle risposte e ti rendi conto che non bastano. Lì è davvero un problema, perché ti senti perduta, senza più punti di riferimento, senza più nemmeno la possibilità di appellarsi ai quei falsi appigli che ti eri creata. La reazione più normale, a quel punto, è decidere non che i punti di partenza fossero sbagliati, bensì i punti di arrivo. Cominci a diventare ipercritica con tutto quello che può sembrarti una risposta e lo scarti. Ben presto ti ritrovi a scartare tutto o quasi e ti rendi conto che niente va bene, che niente basta, che niente risolve quei vuoti allo stomaco. E allora che fare? Ti arrendi e credi che la soluzione non ci sia. Che non va bene così, che questo non è “normale”, ma semplicemente non esiste da nessuna parte del mondo la soluzione adatta a te. E non è colpa tua. Che bell’inganno sei, anima mia.

C’è un tempo in cui poi trovi qualcosa. Qualcosa che ti fa quietare quelle morse, quei vuoti per un bel po’ di tempo e così intensamente, così diversamente dal resto, dal solito, dal passato che ti convinci di avercela fatta, che tutte le tue scelte passate, tutto il tuo ipercriticismo a qualcosa è servito, che il tuo non esserti mai arresa alla mediocrità, non esserti mai accontentata di quel che trovavi alla fine ha pagato. Ha pagato perché non senti più le lacrime sgorgare dal di dentro, non senti più un vuoto esistenziale incolmabile.
E che bello il mio tempo, che bella compagnia.

C’è però poi un altro momento. Un ultimo momento,forse conseguenza di quello precedente, ma necessario. È l’ultimo momento. Quello in cui ti ritrovi seduta alla tua scrivania, in un 19 di giugno qualunque con aperto davanti a te il quaderno di glottologia che non ha un’aria propriamente invitante. La consapevolezza di non passare il prossimo esame ti pressa, sensazioni da capire ti ronzano dentro e la voglia di distrazione ti assale. E cedi, immancabilmente. Ti siedi al computer e ti metti a riordinare il tuo compagno di viaggio, il tuo i-pod. Appena hai finito leggi il titolo di una canzone. E pensi che sia una delle più belle che tu abbia mai sentito, forse decidi che è la tua preferita di quell’autore che adori..ma cosa servirà poi “decidere” la tua canzone preferita? Ti vien voglia di ascoltare quella canzone, ti viene voglia della inevitabile malinconia che deriverà dall’ascoltarla e dapprima ti rifiuti, perché di malinconia non c’è traccia nella tua vita ora. Ma poi ti sembra stupido “temere” una canzone e lasci andare Winamp, in modalità “ripetizione continua”. Ti sdrai sul letto e ti lasci trasportare dal flusso di coscienza che quella canzone fa scaturire in te. Dopo alcune considerazioni “tecniche”, del tipo “quest’uomo era un genio”, ti rendi conto che il resto della tua mente è inevitabilmente affogato in quella malinconia che tanto temevi. E allora si riapre il vuoto, la morsa, si riaprono tutte quelle cose che credevi di aver scacciato. Ti senti in colpa e il tuo ipercriticismo si rifa vivo e ne hai una paura indescrivibile. Ma ad un tratto realizzi che non c’è niente da criticare, che basta così, che sei tu a decidere della tua vita e non più il tuo vuoto, non più la morsa, non più lo stomaco. Capisci che si può essere una persona completa e felice anche con quelle morse e quei vuoti. Che non devi più rinnegare niente, che accettare questa parte di te non ti renderà falsa, né renderà meno bella la tua vita ora.

E poi c’è il momento più bello, in cui la musica sale, imperversa l’armonica e ti lasci trasportare dal suo suono un po’ antiquato che disegna però una melodia senza eguali. L’epifania è sempre il momento più intenso delle riflessioni, da cui nasce sempre un sorriso dolce. È questo il momento, in cui ti senti viva, ti senti “cresciuta”, ti fa sorridere la tua insicurezza passata e guardi indietro con l'amorevolezza e la comprensione con cui si guarda un bambino pasticcione. Ora ti senti in grado di prendere in mano la tua vita. Tu, in prima persona. L’armonica è interrotta dal suono di un sms. Ma l’sms è ben accetto, torni alla realtà, anche se non l’avevi mai abbandonata nel tuo viaggio mentale che aveva l’obiettivo di spiegare proprio questa. Leggo l’sms, nasce un sorriso. Non è chi speravi che fosse, non concluderò queste riflessioni nel modo romantico che avevo pensato, il "destino" non ha preparato questa scena da film. Ma ogni storia non può avere l’esito perfetto che speravi ed è proprio questa la lezione che hai imparato in questo momento. La tua anima è salva.

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posted by Sisa at 13:54 | Permalink |


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