una macchina parcheggiata. vetri appannati senza alcun bisogno di volgarità. il fiato si produce anche parlando. parole che escono con una facilità estrema, quasi imbarazzante. se non fosse che l'imbarazzo si è dimenticato di venire. parole parole parole. che riempiono lo spazio intorno a noi. noi, una nuova parola che ha un suono inaspettatamente bello. e alzare la testa e guardare di là e intravedere qualcosa nella nebbia che ieri sera opprimeva Milano e i nostri occhi. domande su cosa possa essere, su quanto lontano possa essere. ma poi alla fine cosa serve domandare? per avere risposte, è chiaro. e le risposte a cosa servono? per sopperire a qualche lacuna che non si riesce a sopportare vuota. io lacune non ne ho. non ho bisogno di fare domande e non ho bisogno quindi di avere risposte. come ho già detto, mi basta. e allora perché scrutare la nebbia quando ho una macchina piena di parole a cui attingere? quando posso tranquillamente chiudere gli occhi e sorridere? quando posso sentire sorgere lacrime, silenziose lacrime di gioia? no, la nebbia non mi interessa. non mi fa paura, ma non la guardo nemmeno. preferisco rimanere al caldo, sotto una giacca improvvisata coperta, ascoltare Simon and Garfunkel e pensare che niente manca, che tutto è perfetto così.Etichette: da "Il libro che non ho ancora scritto"